Schema Therapy

Vi sembra di ricadere sempre negli stessi errori, di incontrare sempre un certo tipo di persone, di trovare partner con gli stessi difetti o relazioni che prendono sempre la stessa piega?

Forse siete “vittime” di uno Schema o di una Trappola, come le chiama il dott. Yeffrey Young, ideatore e sviluppatore della Schema Therapy: un nuovo sistema di psicoterapia, che integra elementi della terapia cognitivo comportamentale, della teoria dell’attaccamento, della psicoterapia costruttivista e della psicoterapia focalizzata sulle emozioni.

Che cosa sono gli schemi?
Sono modalità automatiche e ripetitive di vedere il mondo, di pensare, di rapportarsi agli altri e a sé stessi, che vengono elaborate durante l’arco di vita e che danno luogo a comportamenti disfunzionali. Proprio come in un diagramma di flusso, al presentarsi di un evento la persona attiva costantemente lo stesso tipo di ragionamento e conclusione finale (ad es. dopo un esame andato male, dopo un colloquio di lavoro negativo, dopo aver bruciato il pranzo, penserò in ogni caso di essere sbagliata, di non sapere fare le cose, e concluderò che sono un fallimento).
Anche se fonte di sofferenza, gli schemi continuano a mantenersi perché rappresentano comunque qualcosa di conosciuto e familiare al soggetto, che invece teme di “non sapere più chi è”, se dovesse discostarsi da essi.
Gli schemi hanno solitamente origine nell’infanzia, nella relazione con le prime figure significative (spesso i genitori, ma anche nonni, parenti stretti o amicizie profonde possono influenzare l’insorgenza o la risoluzione di questi schemi).

Come si formano gli schemi?
Secondo il dott. Young, ogni persona nasce con dei bisogni universali, che non sempre ottengono la giusta gratificazione. Alcuni di questi bisogni sono quelli di amore, approvazione, accudimento, empatia, ascolto, protezione, autonomia, esplorazione, riconoscimento, condivisione, disciplina.

Tali bisogni possono essere frustrati in diversi modi:

  • bisogni che vengono soddisfatti in modo eccessivo (troppa rigidità, lodi eccessive, troppa responsabilità, troppe pretese, troppo controllo)
  • bisogni che vengono soddisfatti con scarsa presenza (poco amore, affetto, scarsa presenza, mancanza di regole, mancanza di autonomia)
  • completa assenza del bisogni fino ad arrivare a subire un Trauma (cioè un evento con un elevato impatto emotivo che blocco la persona o la congela a quell’esperienza come un abuso, una violenza o una costrizione fisica)

Queste esperienze costituiscono il nostro modo di pensare, le convizioni fino arrivare a costruire dei propri schemi comportamentali, emotivi e cognitivi I tipici pensieri possono essere: ” Capitano tutti a me” ” Nessuno mi vuole” ” non mi sento all’altezza”, ” Sono debole” … e altri ancora. La vita, a volta , ci porta a rivivere emozioni già sentite o vissute, come se avessimo la sensazione di aver quasi un destino scritto. Invece sono gli schemi passati, non riconosciuti che continuano a condizionarci nelle scelte, nel nostro modo di comportarci e di relazionarci con gli altri.

Per poter CAMBIARE occorre riconoscere questi schemi, andare a modificarli o ristrutturare la propria percezione rispetto a quell’evento responsabile della “Trappola”

La Schema Therapy, consente di individuare la presenza di queste pericolose “trappole” e permette al soggetto di apprendere nuovi modi più sani e flessibili di adattarsi al mondo e cercare soddisfacimento dei propri bisogni.

La Schema Therapy risulta particolarmente utile nel trattamento di ansia e depressione cronica, disturbi dell’alimentazione (anoressia, bulimia, disturbo da alimentazione incontrollata), difficili problemi di coppia, difficoltà di lunga data nel mantenere relazioni sentimentali soddisfacenti. E’ dimostrata, inoltre, la sua efficacia nel trattamento di pazienti con difficoltà complesse e di lungo termine come i Disturbi di Personalità.

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Ti senti in colpa se metti i tuoi bisogni al primo posto? Sei quello che finisce per prendersi cura delle persone che gli stanno vicino? Sopporti qualsiasi cosa di una persona, se ci tieni ad essa? Sei così occupato a fare le cose per gli altri, che ti rimane poco tempo per te?…
Se hai risposto più si che no a queste domande, potresti essere “vittima” dell’autosacrificio.
Cos’è l’autosacrificio? E’ la tendenza a manifestare un’eccessiva attenzione ai bisogni altrui a discapito dei propri. Ci si sente volontariamente mossi dal desiderio di evitare sofferenza alle altre persone, di attuare un comportamento che si ritiene giusto e moralmente corretto, di evitare di apparire egoisti o di sentirsi colpevoli. Darsi agli altri può anche rappresentare un modo per assicurarsi e mantenere vivo il legame con loro.
Le persone che presentano questo “schema” (ricordate cosa sono gli schemi? Ne parlavo qui “La Schema Therapy”) solitamente sono persone sensibili ed empatiche, che sentono profondamente il dolore altrui e che si sentono eccessivamente responsabili nei confronti del loro benessere.
Attuano dei comportamenti piuttosto tipici: nelle conversazioni, tendono ad ascoltare piuttosto che parlare di sé, si concentrano sugli altri e si sentono in imbarazzo quando l’attenzione ricade su di loro, per ottenere qualcosa tendono ad essere indirette piuttosto che ad esprimere apertamente le loro richieste.
Le persone possono arrivare a sviluppare questa modalità a seguito di esperienze precoci o traumatiche in cui si sono ritrovati a prendersi cura di qualcuno (spesso un familiare debole, o malato o immaturo) e quindi abituate a stare nel ruolo di “bambino-genitore”.
Come detto poco fa, lo schema può originare anche da una predisposizione caratteriale all’altruismo o alla morale.
Inevitabile conseguenza del donarsi troppo è il non veder soddisfatti ed appagati i propri bisogni emotivi ed esistenziali. La persona può inizialmente sentirsi già appagata dal “fare del bene”, senza sentire il bisogno di ricevere qualcosa in cambio. Tuttavia, con l’andare del tempo, specialmente se insorgono situazioni penose o difficili per la persona stessa, essa sviluppa spesso una sorta di rabbia, o quantomeno risentimento, nei confronti degli altri che non si curano dei suoi desideri, della sua condizione e che non ricambiano le attenzioni. In altre parole, finisce per sentirsi trascurata.
Un’altra conseguenza molto comune, è lo sviluppo di una sintomatologia psicosomatica (per saperne di più sui disturbi psicosomatici, potete leggere “cos’è la Psicosomatica”), ossia una somatizzazione: il corpo manifesta il disagio emotivo che non si riesce a tirar fuori. E ciò si può tradurre in sintomi quali: mal di testa, disturbi gastrointestinali, dolori cronici, affaticamento.
In presenza di questi disturbi fisici, la persona può sentirsi in diritto di ricevere cure, spesso finendo per ottenerle. Questo può mantenere la sintomatologia e gli acciacchi, in quanto si scopre “inconsciamente” che in quei momenti si può ottenere attenzione e si vedono appagati i propri bisogni di affetto, amore, protezione, ecc..
Le emozioni che caratterizzano maggiormente la presenza di questo schema sono il senso di colpa e la rabbia. Le persone si sentono in colpa ogni volta che mettono loro stessi prima degli altri, ogni volta che fanno valere i propri diritti, ogni volta che non riescono a trovare un modo per “curare” la sofferenza altrui. Si sentono colpevoli anche dopo che si sono arrabbiate (anche solo dento di sé) per non aver ricevuto niente in cambio nel momento del bisogno. Sono sempre in lotta costante per alleviare o non far emergere il proprio senso di colpa, continuando a donarsi sempre di più, nascondendo la rabbia.

Per uscire da questo circolo vizioso, solitamente è necessario un lavoro su diversi fronti:

  • accettazione del senso di colpa
  • riduzione del senso di responsabilità
  • capacità di manifestare i propri bisogni emotivi
  • corretta manifestazione della rabbia (che spesso viene vista come emozione inconfessabile e sbagliata)

Ovviamente, la tendenza al sacrificio e all’altruismo è una caratteristica positiva dell’essere umano e diventa patologica solo quando assume dimensioni eccessive, ossia quando non si è in grado di ottenere la soddisfazione anche dei propri bisogni e ci si annulla totalmente in favore degli altri.

Un altra Trappola: la trappola della Deprivazione Emotiva.

Senti di non ricevere abbastanza affetto dagli altri? Ti ritrovi ad allacciare rapporti con partner freddi e distanti? Ti senti spesso solo e senza punti di riferimento? In cosa consiste la deprivazione emotiva?

Le persone che presentano questo schema hanno la costante sensazione che ai loro rapporti e alla loro vita manchi sempre qualcosa, che gli altri non esprimano abbastanza affetto, calore, attenzione o emozioni profonde nei loro confronti. Sentono di non poter contare su qualcuno che possa dar loro forza e guidarli. Alcuni si sentono incompresi e soli al mondo. Altri privi di amore, invisibili e vuoti. In particolare si può sperimentare un senso di deprivazione emotiva sotto tre aspetti, che possono essere presenti contemporaneamente o singolarmente:

  • la carenza di cure. In questo caso la persona sente di non avere nessuno che la sostenga e che provi interesse profondo nei suoi confronti o gli comunichi concretamente affetto attraverso un contatto fisico o un abbraccio
  • la carenza di empatia. Qui la persona sperimenta la sensazione che nessuno l’ascolti veramente o cerchi di comprendere a fondo la sua personalità e i suoi sentimenti
  • la carenza di protezione. Questa condizione fa insorgere nella persona la sensazione che nessuno la protegga e gli faccia da guida

Le origini di questo schema possono essere svariate, anche se nella maggior parte dei casi si rintracciano episodi infantili di abbandono, scarsa espressione di affettuosità da parte di genitori o persone care, poca presenza genitoriale, poca empatia, ascolto e attenzioni emotive nei confronti del bambino. In alcuni casi si possono aver avuto familiari deboli, malati o inaffidabili a cui sono state dedicate maggiori attenzioni, o genitori a cui il bambino stesso ha dovuto “badare” o che non erano in grado di fargli da guida.

Come conseguenza di tale sensazione di privazione e isolamento emotivo, le persone mettono in atto alcuni comportamenti tipici: Da una parte troviamo persone che sono portate a nascondere agli altri (e stiamo parlando anche delle persone a loro care, familiari, partner..) i propri bisogni emotivi, a non esprimere il desiderio di essere maggiormente abbracciate, consolate e protette, poiché portate a pensare che comunque non lo otterranno (o che non è corretto esprimere se stessi). Si costruiscono quindi una corazza, per dimostrare la loro forza e indipendenza emotiva.

Conseguenza: queste persone possono arrivare a darsi totalmente agli altri, senza ricevere nulla in cambio (la schema deprivazione emotiva è strettamente correlato a quello di autosacrificio, di cui avevamo parlato qui), oppure circondarsi di amici e partner che non vogliono, o non possono, coinvolgersi pienamente in un rapporto. Quindi instaurano relazioni con persone fredde, distaccate, poco disponibili (magari perchè già impegnate in altri rapporti), concentrate su se stesse, o con persone in stato di difficoltà, che in ogni caso non potrebbero soddisfare i bisogni emotivi di cui necessitano.

Ciò non fa altro che rinforzare la sensazione di vuoto, solitudine e privazione affettiva, in una spirale in continua ascesa: “Poiché la persona pensa di non poter ricevere ciò di cui ha bisogno, non lo chiede e, in questo modo, si preclude la possibilità di ottenerlo”.

Ma non tutti reagiscono allo stesso modo a questa sofferenza, c’è chi invece di ritirarsi, diventa eccessivamente esigente (nei confronti di familiari, amici, partner ecc..) e ad arrabbiarsi quando non ottiene l’attenzione e il supporto di cui ha bisogno. Oppure c’è chi richiede costantemente aiuto e supporto, in maniera così continua ed intensa da apparire “appiccicoso” o fragile. Anche per questo comportamento ci sono conseguenze avverse: il voler essere sempre al primo posto per tutti senza considerare i bisogni altrui, diventa fonte di conflitti interpersonali. Gli altri possono allontanarsi, e la persona si ritrova ancora una volta senza supporto e ancora più sola.

Per approfondimenti consulta il testo: Reinventa la tua vita di J. Young

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